venerdì 25 dicembre 2009

QUAL E’ LA CAUSA DELL’INCIDENTE DA DECOMPRESSIONE?

Dopo aver visto come fa il nostro organismo ad assorbire l’azoto e come bisogna fare per eliminare l’azoto durante la risalita e per ridurre al minimo le probabilità di incorrere in un incidente da decompressione (DCI), vediamo quali sono le cause di DCI.
La causa dell’incidente da decompressione è la bolla, ma non solo lei o almeno non sempre. Se la bolla è grande, allora andrà ad occludere meccanicamente il vaso sanguigno, ma quando è piccola, più piccola del diametro del vaso sanguigno come fa creare danni? In questo caso è il nostro organismo che la riconosce come estranea e fa sì che si inneschi una risposta infiammatoria. Questo spiega anche perché a volte, pur facendo un’immersione identica, su due sub solo uno va incontro a DCI (bolle uguali, diversa risposta infiammatoria). Il concetto dell’infiammazione spiega anche perché alcuni incidenti da decompressione si verificano dopo 24 ore dal termine dell’immersione. (TAB 1)
Secondo Haldane (presupposto sul quale sono basate le tabelle U.S. Navy) le bolle si formavano solo se non si rispettava la velocità massima di risalita e quando si saltavano le tappe di decompressione. Su questo concetto sono basati molti computer (definiti compartimentali) basati sui programmi del professor Buhlman e chiamati Haldane modificato. Oggi si sa che non è proprio così.
Dalle ricerche del DAN (Divers Alert Network) emerge che il rischio individuale di incidente da decompressione è di 1 caso ogni 40000 immersioni per immersioni entro i 30 metri. Il rischio aumenta a 1 caso ogni 6600 immersioni se si fanno immersioni con stress decompressivo (immersioni ripetitive, multiday, immersioni con decompressione, immersioni oltre i 30 metri, profili inversi, ecc.).
E’ molto importante il riconoscimento che il nostro corpo fa delle bolle. Basta pensare al fatto che il 58% degli incidenti da decompressione è immeritato, cioè si verifica a seguito di immersioni con profilo corretto.
Essenziale immergersi in buone condizioni di salute per ridurre al minimo i fattori di compromissione; ne consegue l’importanza della visita di idoneità all’attività subacquea, che deve essere concepita come una visita che ci permette di andare in acqua con più sicurezza.

mercoledì 23 dicembre 2009

COMPUTER COCHRAN


Abbiamo visto nel capitolo precedente quali sono le origini di questo computer. Vediamo adesso come un computer nato in ambito militare è stato diffuso in ambiente sportivo / ricreativo. Dalle origini ad oggi sono stati fatti molti studi per rendere il computer sicuro anche per chi fa immersioni in condizioni fisiche non ottimali (differenza fra subacqueo militare e non militare) e in condizioni ambientali molto variabili. Vi ricorderete come già negli anni ’90 si erano rese necessarie alcune modifiche al computer per apportare maggior sicurezza quando le condizioni dell’immersione si discostavano da quelle standard dello studio.
Se osserviamo i diversi modelli di computer Cochran dalle versioni militari alle versioni civili, possiamo notare che l’algortitmo decompressivo è uguale in tutti i modelli (con dei necessari adattamenti in relazione al livello conservativo variato in funzione delle differenti esigenze d'impiego e delle differenti caratteristiche psico/fisiche degli utilizzatori). L’evoluzione dell'algoritmo impiegato nel Cochran COMMANDER NAVY è l’EMC (Environmental & Microbubble Cognizant). L'acronimo indica che il computer tiene conto delle condizioni dell’ambiente in cui si fa l’immersione (temperatura, acqua dolce o acqua salata, immersioni in altitudine), immersioni precedentemente eseguite autoadattandosi ed inoltre permette all'operatore di inserire fattori conservativi aggiuntivi per ridurre la formazione di bolle ed aumentare la sicurezza delle immersioni (un approccio preventivo). L’algoritmo prevede tappe più profonde ma più brevi per rallentare l'ascesa verso la superficie oltre ad un sofisticato sistema di controllo della velocità di risalita variabile in funzione della profondità. L’algoritmo EMC è quello che ha il range più ampio di applicazione: da immersioni brevi, a immersioni molto profonde e molto lunghe con rebreather, da immersioni ad aria ad immersioni con miscele iperossigenate o Trimix. Un fattore che riduce il rischio di incidente da decompressione è il fatto che tutta la serie Cochran parte dal presupposto che il sommozzatore respiri una miscela con il contenuto più alto possibile di azoto in relazione alla profondità d’impiego (la qual cosa non avviene nella maggior parte dei casi proprio in funzione dell’adozione di miscele e apparati di respirazione più efficienti).
Si adatta perciò alle esigenze di tutti i subacquei, dai principianti ai più esigenti.
Se tutti i modelli di computer Cochran utilizzano lo stesso algoritmo decompressivo, qual è la differenza tra i diversi computer? Quello che differisce è il numero di compartimenti presi in esame: tanto maggiore è il numero di compartimenti tanto più accurata è l’analisi e quindi ridotto il rischio di un incidente. Facciamo un esempio pratico: nel modello EMC-16H i compartimenti presi in esame sono 16, nel modello EMC-20H ce ne sono quattro in più (2 più lenti e 2 più veloci) per permettere calcoli più accurati quando si usa l’elio nella miscela respiratoria.



MODELLO DECOMPRESSIVO VVAL 18

Il nostro viaggio nel mondo della subacquea ci ha portato a conoscere come fa l’azoto ad entrare e ad uscire dai nostri tessuti.
E’ giunto il momento di parlare in modo più approfondito dei modelli decompressivi e del computer subacqueo, compagno fedele e molto importante nelle nostre immersioni.
Il computer subacqueo è importante soprattutto quando si fanno immersioni multilivello nelle quali sarebbe difficile programmare una decompressione seguendo le tabelle se non considerando l'immersione come una “quadra”.
Come abbiamo già visto in un precedente capitolo esistono due teorie per la decompressione:
il sistema compartimentale (elaborato dal prof. Buhlman partendo dagli studi del prof. Haldane creatore delle tabelle U.S. Navy), e il sistema a controllo della formazione e sviluppo delle bolle (Varying Permeabilità Model – VPM, Reduced Bubbole Gradient Model – RGBM, Tissue Bubble Dynamics Model – TBDM)
Concentriamoci adesso sul modello compartimentale o meglio su un modello compartimentale modificato: il VVAL 18.
A partire dagli anni Quaranta la U.S. Navy, per migliorare l’operatività degli incursori della Marina Militare degli Stati Uniti d’America, si è impegnata nel cercare un computer affidabile (che sostituisse la decompressione calcolata attraverso tabelle U.S. Navy Standard) per calcolare la decompressione nelle immersioni multilivello. Nel 1977 i Navy SEAL’s richiesero formalmente alla U.S. Navy lo sviluppo di un computer da immersione, in quanto le immersioni militari si stavano modificando grazie all'introduzione dell’autorespiratore (rebreather) a circuito chiuso (che consentiva il mantenimento della PO2 costante a 0,7 ATA indipendentemente dalla profondità) e all’uso in immersione di un veicolo subacqueo SDV (SEAL delivery vehicle) impiegato per operazioni subacquee estremamente lunghe che obbligavano i SEAL’s a lunghissime decompressioni. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 il Prof. Thalmann (Senior Medical Officer del NEDU) , terminato lo sviluppo delle tabelle e ricevuta l’approvazione della U.S. Navy iniziò a trasferire il modello matematico in un computer da immersione. Le ricerche furono affidate a centri importanti quali il NEDU (Naval Experimental Diving Unit) e l’NMRI (Naval Medical Research Institution).
Il modello decompressivo preso in esame era il VVAL 18. Questo modello prendeva in considerazione diciotto tessuti con tempi di emisaturazione compresi tra 5 e 240 minuti e intervallo di campionamento ogni secondo. Secondo questo modello l’assorbimento del gas da parte dei tessuti era di tipo esponenziale mentre la sua eliminazione era di tipo lineare (nel modello compartimentale sia l’assorbimento del gas sia l’eliminazione avvenivano in maniera esponenziale). Il fatto che la desaturazione seguisse una curva lineare implicava che era accettata la formazione di un piccolo numero di bolle.
Quali sono le differenze sostanziali tra le tabelle U.S. Navy standard e il modello VVAL 18?
Se noi facciamo un’immersione in curva di sicurezza e con tempo di fondo breve non vi è una gran differenza, se invece abbiamo lunghi tempi di fondo la “decompressione” del VVAL 18 è più permissiva per le immersioni profonde e più conservativa per le immersioni più vicine alla superficie. Se facciamo immersioni fuori curva il VVAL 18 è più conservativo e prevede tappe di decompressione più fonde. Inoltre le nuove tabelle U.S. Navy potevano essere adattate a miscele respiratorie diverse dall’aria e ad immersioni con rebreather a circuito chiuso (in quanto si trattava di tabelle decompressive con PO2 costante).
Il modello sviluppato dall’NMRI era di tipo probabilistico (individuazione e riduzione della percentuale di rischio accettabile). Gli studi rilevarono però che il rischio aumentava notevolmente se le condizioni dell’immersione si discostavano molto dalle condizioni standard. Era perciò necessario aggiungere dei fattori correttivi conservativi per aumentare la sicurezza in ogni condizione. Per fare ciò gli studi furono affidati nel 1990 al Naval Special Warfare Biomedical Research Program e nel 1993 si arrivò ad avere tabelle sicure e addirittura più conservative delle tabelle ad aria della U.S. Navy. A questo punto però era nato un nuovo problema: queste nuove tabelle prevedevano tappe di decompressione troppo lunghe per i militari. Si riprese perciò il modello Haldaniano del Capt. Thalmann che, partendo da una miscela nitrox, calcolava la decompressione ad aria e per PO2 costante di 0,7 ATA. Le nuove tabelle , rispetto alle tabelle U.S. Navy Standard erano più permissive per immersioni più profonde. I tempi erano maturi per dar vita al primo computer che utlizzasse come modello decompressivo quello elaborato dal Prof. Thalmann. Il progetto fu affidato alla Cochran Consulting Company ed il primo computer prese il nome di Cochran Commander. Nel 1996 il NEDU guidato da Capt. Dave Southerland iniziò i test sul computer. I test finirono nel Gennaio 1998 quando il NEDU dichiarò il Cochran Commander NAVY pronto per i test sul campo nell’ambito dei SDV teams. Dal 2001 il computer fa parte dell’equipaggiamento standard dei SEAL’s.
Da allora sono stati molti studi per adattare il computer alle immersioni con miscele iperossigenate e con rebreather e soprattutto per adattare il computer alle esigenze di un utente sportivo e non militare con caratteristiche fisiche molto diverse.

Seminario Cochran Undersea Technology di Fabrizio Pirrello

Seminario della Cochran Undersea Technology: nuovi sviluppi algoritmo decompressivo EMC 20H alla luce delle nuove US NAVY Diving Tables. Dalla piattaforma hardware al software decompressivo; dalla tecnica costruttiva alle applicazioni militari.


Larry Elsevier illustra le novità del modello EMC 20H - 31/10/2009 e 1/11/2009


Nutrita platea di addetti ai lavori segue la presentazione del modello EMC 20H - 31/10/2009 e 1/11/2009

Operatori del settore seguono le lezioni

In tale occasione la Dr.ssa Laura Vernotico ha ricevuto uno strumento COCHRAN EMC 20H in versione CCR per i suoi studi. Contestualmente è stata incaricata della raccolta ed elaborazione di dati estratti dai computer COCHRAN al fine di implementare la ricerca su alcune applicazioni militari del software decompressivo direttamente derivato dal VVAL18.


COMPUTER DA IMMERSIONE CON ALGORITMO COMPARTIMENTALE O CON SISTEMA A CONTROLLO DELLA FORMAZIONE E SVILUPPO DELLE BOLLE



Esistono due approcci per il calcolo della decompressione:
  1. il sistema compartimentale (elaborato dal prof. Buhlman partendo dagli studi del prof. Haldane creatore delle tabelle U.S. Navy),
  2. il sistema a controllo della formazione e sviluppo delle bolle (Varying Permeability Model – VPM, Reduced Bubble Gradient Model – RGBM, Tissue Bubble Dynamics Model – TBDM)
Applichiamo questo ragionamento ad un computer da immersione che utilizzi un algoritmo compartimentale. Teniamo presente la formula delle pressioni parziali per gas azoto
PN2 = FN2 x P
Dove:
PN2 = pressione parziale dell’azoto
FN2 = frazione dell’azoto
P = pressione assoluta
Ogni volta che il subacqueo inizia la risalita il computer ragiona su quanto azoto c’è nel compartimento che ha preso in considerazione. Se ci sono meno di 1,6 bar, dà l’ok per la risalita. Fare immersioni in curva di sicurezza significa che per ogni profondità il tempo massimo di permanenza sul fondo è tale che una volta arrivati in superficie nel nostro organismo ci sono al massimo1,6 bar di azoto. Se il computer verifica che risalendo direttamente in superficie nell’organismo ci sono più di 1,6 bar di azoto (e quindi si formano le bolle) pianifica le tappe. Come fa il computer a fare i calcoli? Per vedere se è possibile risalire almeno fino ai tre metri deve vedere se ci sono meno di 2,1 millibar di azoto (0,8 bar + 1,3 bar) se sono di più allora bisognerà fermarsi a 6 metri, se sono oltre 2,4 bar (0,8 bar + 1,6 bar) allora bisognerà fare la tappa a 9 metri. Questo ci dice che, tanti più tessuti prende in considerazione un computer e tanto maggiore è il numero delle campionature che fa al minuto il computer, tanto più precisa sarà l’analisi fatta e quindi l’affidabilità del computer.
I computer da immersione che adottano un algoritmo che “ragiona sulle bolle” prevedono che appena il subacqueo inizia la risalita (la pressione esterna sull’organismo si riduce e l’azoto accumulato fuoriesce dai tessuti per passare nel sangue) il 90% dell’azoto contenuto nei tessuti si diffonde nel sangue per essere eliminato con l’espirazione, mentre il 10% penetra nelle bolle che sono sempre presenti in circolo. Se il distacco dal fondo è troppo veloce, si crea una differenza di pressione tra i tessuti e l’ambiente esterno che favorisce l’ingresso di azoto nei nuclei di bolla che poi si ingrandiranno.
Se vogliamo tradurre questi concetti teorici in termini pratici, possiamo affermare che il mercato ci offre diverse tipologie di computer che appoggiano un modello decompressivo piuttosto che l’altro.
Non è però questo il momento per affrontare il problema relativo alla scelta del computer subacqueo, lasciamo questo argomento per un altro capitolo del nostro viaggio nel mondo della subacquea.

martedì 22 dicembre 2009

CONCETTI DI DECOMPRESSIONE: COMPARTIMENTI O BOLLE?

Ai fini del calcolo della decompressione è importante tenere conto della:
  • durata dell’immersione calcolata dal momento dell’entrata in acqua fino alla prima tappa
  • velocità di discesa sul fondo (una discesa rapida schiaccia le microbolle, una discesa lenta fa sì che i tessuti che assorbono l’azoto più lentamente comincino a caricare il gas inerte già durante la discesa)
Esistono due approcci per il calcolo della decompressione:
  1. il sistema compartimentale (elaborato dal prof. Buhlman partendo dagli studi del prof. Haldane creatore delle tabelle U.S. Navy),
  2. il sistema a controllo della formazione e sviluppo delle bolle (Varying Permeability Model – VPM, Reduced Bubble Gradient Model – RGBM, Tissue Bubble Dynamics Model – TBDM)
Qual è la differenza fra questi due modelli di decompressione?
Il modello compartimentale prevede che durante la decompressione tutto l’azoto accumulato nei tessuti si liberi nel sangue come gas disciolto e venga poi eliminato con l’espirazione dai polmoni. La legge che è alla base di questo modello è la legge di Henry il cui enunciato è: a temperatura costante, la quantità di gas in soluzione è proporzionale alla pressione che il gas esercita sul liquido. Il volume totale di gas disciolto in un liquido (quando siamo in condizione di saturazione) dipende dal solubilità del gas, volume del liquido e la pressione con cui il gas preme su di esso. Le bolle si formano solo se non si rispettano le tappe di decompressione e la velocità massima di ascesa. Secondo questo modello, in un’immersione in curva di sicurezza i tessuti possono sopportare il doppio dell’azoto normalmente presente in superficie (fino a 1,6 bar). Se la quantità di azoto che si libera dai tessuti in risalita è superiore al doppio del normale, allora bisogna fermarsi per una tappa di sicurezza, detta tappa di decompressione (3 metri, 6metri, 9 metri, ecc.).
Ricerche sul campo ci dicono che dopo ogni immersione ci sono sempre delle bolle (più o meno numerose) e che non sempre le bolle creano problemi. Nel nostro sangue ci sono sempre microbolle con un diametro inferiore a 10 micron (quindi inferiori al diametro di un globulo rosso che misura 8 micron).
Le microbolle presenti nel nostro organismo sono di due tipi:
  1. microbolle a vita breve (al massimo qualche ora); derivano dalla vorticosità del sangue nel passaggio dalle valvole cardiache, dai movimenti muscolari e articolari (attenzione a fare attività fisica subito prima dell’iimersione!)
  2. microbolle a vita lunga (fino a qualche giorno); derivano da immersioni precedenti.
La pericolosità delle bolle dipende dal loro numero e dalla loro grandezza. Tradotto in termini pratici, possiamo dire che dopo immersioni senza stress decompressivo (entro i 30-40 metri, in curva di sicurezza, una sola immersione al giorno, ecc) si formano poche bolle e queste non creano problemi.
Appena il subacqueo inizia la risalita (la pressione esterna sull’organismo si riduce e l’azoto accumulato fuoriesce dai tessuti per passare nel sangue) il 90% dell’azoto contenuto nei tessuti si diffonde nel sangue per essere eliminato con l’espirazione, mentre il 10% penetra nelle bolle che sono sempre presenti in circolo.
Da cosa dipende la capacità o meno di entrare? Dalla resistenza che la bolla offre: tanto più piccola (compressa) è la bolla, tanto maggiore sarà la resistenza che offre all’ingresso dell’azoto. Questo è il principio della legge di Laplace. Ovviamente quando l’azoto entra nella microbolla, questa inizia ad ingrandirsi e se si ingrandisce troppo finisce per rompersi e va a creare delle bolle figlie di dimensioni inferiori. La bolla, come il gas disciolto, arriva fino al polmone. I capillari che circondano gli alveoli trattengono le bolle con un diametro maggiore di 10 micron, a questo punto l’azoto esce dalla bolla e viene eliminato con la espirazione. Se però si fanno immersioni con stress decompressivo (immersioni oltre i 30 metri, più immersioni al giorno, immersioni in più giorni consecutivi, immersioni con profilo inverso) o errori in decompressione, ecco che si formano tante bolle e bolle grandi. A questo punto le bolle molto grosse possono danneggiare direttamente la parete del vaso, oppure il nostro organismo riconosce le bolle come estranee e le aggredisce (sviluppando una vera e propria infiammazione). Tanto più grandi sono le bolle tanto maggiore è la probabilità di avere dei problemi. La probabilità di avere un incidente da decompressione (DCI) supera il 3% quando il diametro delle bolle supera i 120 micron nelle immersioni entro i 30 metri di profondità o gli 80 micron nelle immersioni oltre i 3 metri. Immergersi spesso (più di 40 immersioni all’anno) fa bene perché così si schiacciano le microbolle che diventano più resistente all’ingresso di azoto.
Un buon profilo di immersione è quello che facevano i corallari: discesa rapida (20 metri al minuto) sul fondo, distacco lento dal fondo, perché è in questo momento che si formano le prime bolle; tappe profonde (di due minuti) che servono per scaricare un po’ di azoto; negli ultimi 15 metri, risalita lenta.
Abbiamo visto che le bolle iniziano a formarsi nel momento del distacco dal fondo. Quando possiamo considerarle scomparse? Quattro ore dopo la fine dell’immersione. Ecco perché è importante rispettare un intervallo di superficie di almeno due ore tra un’immersione e l’altra.